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di Alessandro Crociata
L'Italia è diventata il Paese delle emergenze: lavoro, rifiuti, incendi, alluvioni, terremoti, criminalità.
Oggi, a quanto pare, l'emergenza è fare le riforme.
Le cronache giudiziarie ci hanno reso un quadro desolante derivante dalle politiche di contrasto delle cc.dd. emergenze. L'ultima in ordine di tempo è quella che ha interessato l'Expo, dove l'emergenza di finire i lavori entro il 2015 ha determinato un rilevante allentamento del sistema di controlli che ha consentito alle sempre presenti cricche (associate spesso alla criminalità organizzata) di fare lucrosi affari.
Ma di queste emergenze - divenuti affari per pochi - ne abbiamo visto pure a L'Aquila, e per risalire nel tempo nel Belice in Sicilia e in Irpinia, Campania, etc. etc.
L'Italia deve uscire fuori dalla logica della emergenza; del resto di quali emergenze discutiamo se si trascinano per anni, se non per decenni e si perpetuano in continuazione, cambiando solo luoghi e (a volte) personaggi interessati.
Ma le emergenze non sono solo quelle che nascono dai territori risolvibili con appalti agli amici degli amici.
Oggi siamo pressati pure dalle emergenze delle riforme istituzionali. Anzi, oggi la madre di tutte le emergenze è la riforma del Senato e la riforma elettorale per garantire la governabilità.
Questo stillicidio di emergenze che affollano il Paese ci fa ormai ritenere del tutto normale l'emergenza, tanto che la parola d'ordine più apprezzata è quella di chi promette le riforme immediate (i famosi atti dei 100 giorni che tutti i Presidenti del Consiglio declamano appena insediati).
Permettetemi di essere una voce fuori dal coro. Non credo alle riforme dettate dall'emergenza. Non credo che una seria politica per il Paese possa essere configurata in 100 giorni.
Occorre programmazione e scelte di lungo periodo. Occorre avere un orizzonte temporale delle riforme che deve dire quale sarà il Paese da qui a 50 anni a 100 anni, non oggi, non domani.
Certo si dirà, ma la crisi è oggi e oggi dobbiamo risolverla.
Vero, la crisi è oggi. E tale resterà a lungo se continueremo a trattarla con misure tampone, con misure emergenziali. Occorre ricostruire dalle fondamenta il tessuto economico e sociale del Paese, occorre farlo avendo ben presente cosa si vuole costruire, se no avremo continue crisi, che ad ogni giro di boa si faranno sempre più gravi ed irreversibili.
Primo passo? Dare risorse alla scuola pubblica.
Predisporre un piano di formazione culturale, fornendo i necessari incentivi ai principali operatori della scuola: gli insegnanti. Creare da lì le basi per la formazione di generazioni di studenti che con mente aperta e visione del bene pubblico siano il volano della crescita, per far sì che essa si affermi e rimanga più a lungo possibile.
Occorre dare queste risorse a qualunque costo.
Quanto pubblicato è riferibile al suo autore, è inteso ad alimentare il dibattito e non rispecchia le posizioni ufficiali di Democrazia in Movimento.
Utente: ALECRO
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del 28/06/2014
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